Chi siamo


Il Club A.T.E.C.S. (Associazione Tifosi e Calciatori Sartanesi) è un gruppo di giovani di Sartano che, unito dalla passione calcistica, cerca di vivere e fare propri i valori dell’amicizia. 
Esso aiuta i ragazzi a vivere l’esperienza di gruppo e a ritrovarsi insieme avendo una particolare attenzione per l’accoglienza.
Ma come nasce questo piccolo club?
Beh, ho sempre avuto una particolare attenzione nei riguardi dei ragazzi che, attraverso l’adolescenza, si affacciano al mondo degli adulti scoprendo una nuova vita e tante difficoltà.
Da dieci anni a questa parte organizzo, durante l’estate, tornei di calcetto per i ragazzi di Sartano e, nonostante ci sia una grande differenza di età tra me e loro, grazie a questa disciplina siamo riusciti a creare un bel gruppo di amici.
Molti di loro frequentavano la seconda, la terza elementare quando li feci giocare la prima volta.
Una sera del mese di dicembre 2007, a pochi giorni dal Natale,  mi rimase nel cuore.
C’era il posticipo serale dell’incontro di calcio Lazio - Juventus e vidi alcuni dei “miei” ragazzi molto appassionati al calcio, e alla Juve, seduti su una panchina nel paese e mi meravigliai di averli incontrati là perché sapevo quanto tenessero a vedere la partita della Juve. Mi avvicinai a loro, scambiammo quattro chiacchiere e gli chiesi come mai non  stavano vedendo la partita.  Non  tardai a capire due cose fondamentali: non avevano l’abbonamento a Sky o Mediaset Premium a casa e non andavano in pizzeria o al bar perché dovevano prendere la consumazione e non potevano permettersi nemmeno questa piccolissima spesa.
Io avevo tante comodità e, tra queste, anche l’abbonamento a Sky mentre alcuni “miei” ragazzi  non avevano la stessa fortuna.
Decisi allora, nel mio piccolo, di aiutare questi ragazzi a divertirsi ancor di più e a non limitarci solo ai tornei di calcetto, ridotti ai mesi estivi. Questi, anche se belli, erano ben poca cosa e la nostra amicizia, il mio volergli bene aveva il compito di andare oltre il rettangolo di gioco.
Proposi a me stesso che, all’inizio della successiva stagione calcistica, avrei messo in piedi un piccolo club sportivo grazie al quale, in maniera del tutto gratuita, i giovani potessero radunarvisi, vedere le partite, giocare, mangiare e bere e, di conseguenza, crescere insieme. Per fare ciò, naturalmente, andavamo incontro comunque a delle spese e, anche se non particolarmente esose, pesavano un po’ su di me, disoccupato. Necessitava un locale, un televisore ecc.
Da buon calabrese, testardo, decisi di partite lo stesso senza paura e riunendo i ragazzi gli chiesi se avessero in casa qualcosa accantonata che avrebbe potuto tornarci utile, senza mettere mano al portafogli.
Riuscimmo a riciclare un televisore, sedie, tavoli, scrivanie e quant’altro serve per addobbare al meglio una piccola stanza adibita a club sportivo per giovani.
Già, la stanza! La famiglia di un “nostro” ragazzo, la famiglia di Cariati Peppino (Pippinu du furnu) con gentilezza e grande nobiltà d’animo ci fornì questo localino senza pretendere un centesimo d’affitto.
Da allora nacque questa piccola associazione, che denominammo appunto Club A.T.E.C.S. e che coronò tanti anni di sincera amicizia. I ragazzi, vista la mia “anzianità”, decisero di eleggermi presidente e a ciascuno di loro venne affidato un compito, anche il più banale, perché ognuno nella sua piccolezza, doveva essere utile per gli altri.
Decidemmo anche di fare un logo, un distintivo che racchiudesse in se lo scopo e le intenzioni della nostra associazione. Scegliemmo questo:
un pallone sorretto da due mani, una bianca e l’altra nera, che per noi significa uguaglianza, accoglienza, disponibilità, umiltà, giustizia, rispetto.
Mi congratulo con questi giovani perché, insieme a me, non si sono mai arresi davanti a nessuna difficoltà. Hanno fatto si che tante cose non rimanessero sogni (solo perché non c’erano i soldi) sfoderando al momento giusto le caratteristiche fondamentali, tenacia, coraggio, umiltà, lealtà, rispetto di se stessi (e quindi rispetto per gli altri), che ogni bravo calciatore possiede e che hanno permesso la realizzazione di questo successo.
Non bisogna fare grandi cose per raggiungere un successo: quando una persona, o meglio, un gruppo di persone si prefigge un obiettivo e poi lo raggiunge, arriva al successo.
Possa il nostro club, le nostre manifestazioni sportive aiutare i ragazzi (e non solo loro) a non aver paura di essere umili, di partire dal basso.
Baden Powell, fondatore dello Scoutismo, disse: «La quercia fu un tempo una ghianda» volendo significare che la quercia, quell’albero grande e forte, cominciò all’inizio come una piccola ghianda giacente al suolo.

Silvio Micieli

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
PARLANDO DI SPORT

Si può dare una definizione di sport che sia solo logica o creativa, gioiosa o aggressiva? Forse no, perchè l'implacabile etica del successo, nel nostro tempo, sembra voler superare i limiti d'una morale seducente e modello d'un narcisismo pericoloso. Il confine della folle corsa verso l'inganno d'un'affermazione a tutti i costi è l'inganno dell'io, ridotto all'effimera effervescenza d'una personificazione del mito vincente e basta. Ci si scorda che, per dirla come Dante, "fatti non fummo a vivere come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza". Dobbiamo sempre tener presente che il corpo umano non è solo un mezzo usato come contenitore di vita biologica, ma è il fine creativo della volontà intima, una guida sul cammino verso il bisogno d'essere sé stessi nella realtà del rapporto con gli altri, in una società sempre transitoria e conflittuale. Il bisogno d'essere diventa, spesso, misura d'un'apparenza, che è resa incertezza dell'ambivalenza sociale e musa ispiratrice della dubbiosa figura del bene e del male contraddittorio, già rappresentante dell'angoscia di vivere ancora nel dimenticato concetto di valore. Valore come concetto di merito verso un progetto d'uomo proiettato nell'esistenza  e nel rispetto alla vita propria e altrui; "vale" ci viene dal latino e significa "forza", "coraggio",  "vigore", "audacia", che sono la nobiltà vera dell'azione umana, quando essa pulsa con amore verso l'amicizia, la solidarietà, la fraternità e, dunque, l'uguaglianza. Esse, se praticate con coscienza, nello sport come nella vita, ci rendono nobilmente competitivi e non aggressivi. Bisogna tener presente che la competizione leale è funzionale all'evoluzione dell'equilibrio, per il benessere della vera libertà, ed è anche una difesa della civiltà nella cultura sportiva e non solo un'interazione di modelli che sembrano vincenti. Spesso, oggi, c'è la pretesa ossessiva di onnipotenza, quell'onnipotenza che fa perdere il senso d'ogni limite, quindi: non smarrirsi sulla strada dei valori, ma tornare sempre alla ricomposizione dell'uomo e della persona; e lo sport aiuta ad imparare e far meglio comprendere i concetti di possibilità e di bisogni dell'uomo-persona. Fare sport e fare sport, ma senza sovvertire le regole della propria competenza, perchè l'equilibrio si mantiene rispettando il senso sportivo: lo sport ed il gioco dello sport sono capaci di sublimare esigenze ben più profonde che non la semplice, anche se molto gradita, affermazione in una gara. La gara, magari difficile, dev'essere frutto d'una gioiosa fatica, quella fatica liberatoria che è condizione di una autentica dignità della propria ordinaria straordinarietà, sempre nella disciplina, che è essenziale motore di vera comunicazione con l'identità interiore. Lo sport va preso come medicina per agire efficacemente sulla propria crescita e, magari, trarne  quelle piacevoli gratificazioni che, nell'ecologìa del corpo e della mente, rendono al meglio i gesti atletici  e le azioni dello sport conquistato come spazio vitale, non solo per il gioco fine a sé stesso. Lo sport, come sfida ludica verso la vita, può diventare occasione per il reale sogno che tende a favorire la libertà delle proprie virtù e del proprio valore, nella dimensione d'un  sano e salutare comportamento leale. Ciò che impariamo nel rapporto col mondo in generale, e con quello sportivo in particolare, ci plasma nel rispetto, proprio e altrui, che è naturale selezione delle azioni e dell'esistenza; insomma nello  sport, come nel gioco, c'è la metafora del senso acceleratore della possibilità di affascinare , col gesto e con l'azione, sé stessi e gli altri. Affascinare coniugando, al presente e al futuro, il principio del piacere esteso, ma senza farsi illusioni, nel rispetto dell'ordine delle potenzialità e di altre possibilità vitali, rese alle aspettative del corpo-mente. Il fascino del movimento va inseguito per raggiungere distanze fisiche e mentali, e per la sopravvivenza del sogno sportivo, in tutte le stagioni della vita di relazione; e ricordarsi che il gioco è la metafora più adeguata della realtà che vede l'atto creativo del gesto come espressione del limite e delle regole. Sport allora, e sport come itinerario di salute fisica e mentale, nella costruzione d'una propria e più specifica identità  personale, per il bisogno di capire e soddisfare i mutamenti delle aspirazioni durante il trascorrere del tempo, con le vere motivazioni mutuate dalle esigenze contingenti. Le funzioni plastiche dell'attività  sportiva mettono in risalto, ancor di più, i rapporti tra corpo e mente, sublimando il linguaggio atletico anche nell'affrontare il complesso gioco della sfida con sé stessi e con gli altri. Sport, dunque, praticato nella consapevolezza di rendere un servizio allo spirito, che anima il corpo dell'essere umano, unico depositario dei valori della vita, della propria e non solo, nel ciclo del divenire persona; e senza dimenticare che, con la tumultuosa evoluzione dei prodotti tecnologici,  acceleratori di tutto tranne che della lenta e naturale crescita, si può essere tentati a sottovalutare i limiti dello sviluppo nell'equilibrio corpo-mente. Attenti a non dimenticare lo spirito dello sport: sport per crescere bene! W lo sport!
                                                                                                               Aldo ALBANITO